mercoledì 9 dicembre 2009

Svarioni

Un post breve questa settimana, perché sono passati tanti anni e non ricordo tutti gli svarioni detti dai vari prof a lezione. Ma alcuni sono storici e meritano di essere tramandati ai posteri.
Primo posto in classifica a Lamberti, che ci ha spiegato in dettaglio (si parlava di plosive) “tutti i giochetti che si possono fare con la bocca e con la lingua”, prima di farci notare che i linguisti sono studiosi indipendenti che non passano uno dopo l’altro come panini (ma scusi, dov’è che i panini passano davanti agli occhi in quel modo? per gli studenti sempre senza soldi sarebbe un paradiso).
Segue a ruota la Tonelli, che dopo averci illuminato sul quarto d’ora accademico ci ha lasciati perplessi con una domanda che preannunciava interessanti sviluppi per il corso: “Ma voi mi sentite? Perché io non mi sento”. Ecco, appunto.
E ancora: lo sapete che le cuffie (o cuffiette) di interpretazione sono state anche definite “orecchianti” dalla Gran? Che spesso e volentieri si dimenticava che tre persone erano già sedute in cabina ad aspettare, mentre lei continuava a parlare e parlare… a microfono spento, per cui i tre sventurati (stanchi di fare gesti con le braccia che probabilmente non riescono a richiamare l’attenzione di nessuno, o solo dei compagni sghignazzanti che si guardano bene dal dire qualcosa perché si divertono ad ascoltare i commenti irati dei tre utilizzando gli orecchianti) non percepiscono nulla della spiegazione che dovrebbe aiutarli con il testo che si accingono a interpretare. In compenso si lanciano in creative interpretazioni di quello che la prof sta dicendo accrescendo la malcelata ilarità del pubblico in sala.
Ulteriori momenti di ilarità sono dovuti a prof che cadono miseramente dalla sedia che, ahimè, non è a norma UE (le sedie dotate di rotelle devono averne 5, non 4, è per quello che ogni tanto si sentono dei tonfi provenienti dalle cabine). È successo alla Mechel. Non vorrei sottolineare che se il foulard penzolante non si fosse incastrato in una delle rotelle, non sarebbe successo nulla…
C’è poi un’esponente del corpo docente colpita da una forte balbuzie, il che non sarebbe grave se non avessimo notato uno strano fenomeno di contagio tra i laureandi, fenomeno che fortunatamente per i futuri interpreti si limita alle poche ore successive all’orario di ricevimento con la docente in questione.
Non dimentichiamo poi la domanda che ha terrorizzato svariate persone agli esami di linguistica con Crevatin: “Quando è stata l’ultima volta che ha fatto l’amore?” Un’informazione essenziale, oserei dire, per capire la differente evoluzione tra le lingue di ceppo germanico e quelle di ceppo romanzo.

venerdì 4 dicembre 2009

I prof

Parlando di insegnanti, come tralasciare le notizie e i pettegolezzi più interessanti? Prima di tutto: un professore – malgrado le apparenze – è una persona come tutte le altre e ha quindi difetti, tic e caratteristiche sue personali che vengono amplificate da due condizioni particolari: prima di tutto sono prof e quindi sotto gli occhi di tutti, poi insegnano in una scuola a maggioranza femminile, il che significa che il pettegolezzo, se non c’è, va inventato.
Una curiosità: sapete che moltissimi professori (o assistenti ecc., per semplicità li definirò sempre prof) si sono laureati alla SSLMIT (oppure diplomati quando il corso non era ancora una laurea bensì un diploma universitario)? Qualche nome? D’accordo, ma la lista non sarà di certo esaustiva: Riccardi, Bonelli, Scarpa, Falbo, Darò, Straniero, Viezzi (che ci ha abbandonato per insegnare alla concorrenza, a Forlì), Ondelli. E nel frattempo se ne sono aggiunti altri che erano miei compagni di corso.
La domanda spontanea di molti studenti è: ma allora PERCHÉ si comportano così con noi? Non ricordano com’era ai loro tempi? Oppure vogliono farcela pagare per quello che hanno subìto loro?
Voci di corridoio parlano anche di fenomeni di nepotismo nel caso di una prof che è riuscita a sistemare lavorativamente due figli all’interno dell’università. C’è poi chi parla di “mafia” per alcune cattedre (cattedra nel senso ampio e non accademico del termine: lavoro da prof) assegnate a incompetenti che probabilmente conoscevano (anche intimamente?) personaggi influenti.
Come scordare gli odi e le inimicizie più o meno nascosti? In genere davanti agli studenti si mantiene almeno una facciata di cordialità, ma tra i vari prof ci sono non poche rivalità. Alcune sono legate al motivo più ovvio: soldi. Se un corso sparisce forse un altro potrà beneficiarne, al che forse sono fondati i dubbi di coloro che si chiedono quale sia la ragione principale per cui è stato cancellato il corso dell’unica lingua orientale (per poi essere reintrodotto ma in versione bignami). Certo, si parla di concorrenza da parte di altre università troppo vicine (e allora si dovrebbe cancellare qualche altra lingua), non si può dare la colpa alla mancanza di iscritti (altri corsi sono molto meno frequentati), né alla mancanza di professori sicuri. Ai posteri (o agli economi?) l’ardua sentenza.
Ma le inimicizie non si fermano solo a questioni pecuniarie. È risaputo che tra i corsi di interpretazione di tedesco e di russo non corre buon sangue, per motivi didattici, che si estendono al trattamento degli studenti in sede d’esame (tema su cui avremo occasione di dilungarci più avanti) e ai criteri di valutazione.
Nel corso di tedesco – seconda lingua – c’era una ben nota antipatia tra due professori costretti loro malgrado a essere colleghi: purtroppo (ma credo che il “purtroppo” sia condiviso da ben pochi) uno di loro ci ha lasciato, e non solo per le sue connessioni al jet-set, e l’altro è stato così privato di uno dei suoi passatempi preferiti, lo spettegulèss – dovrà consolarsi con meno amene faccende in campo economico-finanziario. Oppure fare dei revival di pettegolezzi e critiche, come del resto è abituato a fare nei confronti di suoi augusti coinquilini del passato.
All’interno del corpo docenti si ritrovano dunque malizie e antipatie, come in ogni circolo ristretto, ma anche simpatie e storie più o meno ufficiali, di cui parleremo. Sarebbe opportuno conoscere le varie amicizie e i rapporti di potere quando decidete di scrivere la tesi e avete in mente un relatore e un correlatore ben precisi. Forse dovreste informarvi prima, magari non si sopportano e a farne le spese sarete voi, poveri laureandi che si vedranno le stesse cose corrette in modo opposto dai due.

Al prossimo post alcuni divertenti svarioni di alcuni prof!

venerdì 27 novembre 2009

La popolazione della SSLMIT

Siamo ormai all’interno della scuola. Cosa colpisce la matricola? La bassissima percentuale di studenti maschi. La stragrande maggioranza degli SSLMITiani è donna. E chi non è donna, forse, vorrebbe esserlo.
Perché? Qui i motivi si sprecano: le femmine sono più portate per le lingue (se è un modo carino per nascondere il maschilistico pregiudizio che le donne sono chiacchierone… cercheremo di ritenerlo solo un complimento); è provato dal punto di vista medico che il cervello femminile sia diverso da quello maschile e che il centro del linguaggio abbia una sua conformazione particolare nelle donne; le lingue sono state tradizionalmente considerate territorio femminile.

Non so se una di queste ragioni sia vera o sensata, e sinceramente non mi interessa. Sto solo cercando di consolare le donzelle SSLMITiane che forse speravano di conoscere qualche uomo interessante all’università. Sono anni che si propone un gemellaggio tra la nostra facoltà e quella di ingegneria per ovviare a questa grave lacuna della scuola, ma finora non sono stati fatti passi decisivi in questo senso. Il fato ha voluto (e può sembrare un tiro mancino) che uno dei pochi uomini di scuola si mettesse con una delle poche studentesse di ingegneria… ma allora ditelo, no?

La seconda domanda che la donna della scuola si pone è: ma perché così tanti dei pochi uomini a disposizione sono gay? Non è cattiveria, non è “razzismo”, o sessismo o che dir si voglia, ma questo limita ancora di più il territorio di caccia e aumenta la concorrenza, oltre alla confusione: c’è chi sembrava “papabile” e dopo una festa o una vacanza rivela avere un improvviso interesse per persone del suo stesso sesso, deludendo non di rado uno stuolo di ammiratrici. Ma c’è anche chi poi torna sui suoi passi dopo qualche mese o anno di esperienza diversa. Insomma, la vita privata e sessuale degli SSLMITiani non è mai noiosa, ve ne accorgerete continuando a leggere.

Ci si chiede a volte se è l’ambiente della scuola a trasformare la gente: a volte chi entra etero esce gay. C’è chi ha già considerato la possibilità che si tratti di emulazione. Non dimentichiamo che alcuni esponenti di spicco del corpo docente non fanno mistero delle loro inclinazioni, come scordare la celebre affermazione: “Ehm ehm, negli ultimi dieci anni non ho avuto che rapporti omosessuali”? O ancora personaggi che tutti noi consideravamo gay e che ci hanno ormai lasciato e hanno apparentemente smentito tutti i pettegolezzi legandosi a celebrità (tanto da finire su giornali più o meno scandalistici dove sono stati definiti intellettuali, lasciando di stucco tutti coloro che hanno avuto l’onere - e non l’onore – di averli come insegnanti).

giovedì 19 novembre 2009

Il primo impatto

Dopo aver passato l’esame di ammissione e tutti i traumi a esso connessi (sembra che tutti quelli che ti circondano siano madrelingua o abbiano trascorso anni all’estero e tu pensi che non ce la farai mai; conosco una sola persona che era sicura che sarebbe stata ammessa, è la stessa persona che al liceo aveva 8 in latino…) finalmente si comincia a frequentare. Cosa attende una povera matricola che giunge alla SSLMIT?

Prima le buone notizie: non c’è il solito trauma che segnala il passaggio dalle superiori all’università, la SSLMIT non è che la continuazione delle superiori, tutto è già organizzato per te, il piano di studi è praticamente già stabilito, per cui nessuno viene preso dall’angoscia “cosa devo fare? a chi mi devo rivolgere? quali lezioni devo/posso/voglio seguire?”. Insomma, se a scuola si andava sapendo che qualcun altro organizzava le lezioni per noi, qui la situazione è perfettamente identica, o quasi. (si parla della SSLMIT vecchissimo ordinamento, 41 esami in 4 esami, per intenderci, secoli fa... ora è cambiato tutto.)
Il lato negativo: la SSLMIT non è che la continuazione delle superiori. Lo so, era una delle buone notizie, ma pensateci bene: l’organizzazione fatta da altri va bene, ma essendo pochi gli iscritti (un centinaio, al massimo due ogni anno, si parlava di élite, no?) i corsi sono frequentati da poche persone, per cui i prof ti conoscono, si ricordano la tua faccia (un punto a tuo favore in sede di esame, se è un esame orale), ma se non ti vedono mai sanno che hai preso sotto gamba il loro corso e la maggior parte di loro non lo apprezza e, se può, te la fa pagare (seguirà prima o poi un capitolo sui soprusi). C’è chi pretende (a ragione, anche se secca ammetterlo) la frequenza delle proprie lezioni, c’è chi non la pretende proponendo due diversi tipi di esami per frequentanti e per non frequentanti. Inutile dire che in genere quello per frequentanti prevede lo studio degli appunti delle lezioni e di un paio di libri, mentre quello per non frequentanti prevede lo studio di una bibliografia ben pasciuta, ma bisogna pur riempire le ore che la non-frequenza del corso ci ha regalato, no?
Ovviamente ci sono altri lati negativi, ma chi ne è già uscito non vuole ricordarli (ore e ore dallo psicanalista per dimenticare, gente che mi ha raccontato della difficoltà a provare un orgasmo e l’azione catartica di questo blog) mentre chi è appena entrato... o sta frequentando da qualche anno e li conosce già oppure avrà comunque tutto il tempo per scoprirli, ogni cosa a suo tempo.
A proposito di tempo, come dimenticare nel lontano 1994 la prima lezione di traduzione tedesco-italiano (con la Tonelli) e la prima, fatidica domanda: “Preferite fare lezione cum tempore o sine tempore?”. Brivido di terrore/stupore tra gli studenti. Gli anni di latino alle superiori (per chi l’ha studiato) non aiutano, imbarazzati ci guardiamo l’uno con l’altro, speriamo che risponda qualcun altro (come a scuola, no?), vorremmo dare una risposta a casaccio, ma non sappiamo se la domanda nasconde qualche trabocchetto, finché la prof forse si avvede della situazione e spiega: “Insomma, preferite il quarto d’ora accademico prima o dopo la lezione?”. Sospiro di sollievo, non era poi così tremendo. Ma già lì si è prospettato un primo interrogativo: perché i prof, se devono farsi capire da noi, non parlano come mangiano? Nel corso degli anni ho sviluppato una teoria tutta mia in proposito: alcuni dei nostri beneamati prof vivono in un mondo mentale parallelo, senza rendersi conto che noi studenti non possiamo comprendere (né del resto ne abbiamo il minimo interesse), per il semplice motivo che si tratta di astruse complicazioni linguistiche e mentali senza le quali sopravviviamo benissimo.
Dopo ore e ore di lezione all’università comunque mi è rimasto un dubbio: perché si parla di ore se in realtà sono solo 45 minuti? Convengo comunque che per la maggior parte delle lezioni sono sufficienti tre quarti d’ora, poi la soglia di interesse cala miseramente, semmai c’è stato.
Ma non è finita. Ricordiamo che le ore di lezioni settimanali sono tante e la frequenza è obbligatoria (o almeno lo era ai miei tempi). Ma allora perché – e il dubbio è lecito – ci sono così tante sovrapposizioni di ore? E non solo tra seconde lingue (naturalmente non si può tener conto delle esigenze di tutti gli accoppiamenti linguistici, soprattutto se qualcuno decide di seguire tre o più lingue), ma a volte anche tra le prime e le seconde.
Destreggiandosi tra quarti d’ora accademici e appunti raccattati qua e là non è impossibile cavarsela, ma ciò non significa che sia anche facile. E poi c’è sempre qualche prof che si ingelosisce se mostri di preferire un altro corso con lo stesso orario. La cosa più interessante è che a volte coincidono perfino le date d’esame, per cui ti ritrovi a fare i conti con tre esami che vorresti dare e due sole date (i due appelli della stessa sessione). E se sei fortunato puoi fare un esame di mattina e uno di pomeriggio!
Non dimentichiamo che per dare esami si hanno solo 3 possibilità: giugno e ottobre (sessioni con due appelli) e febbraio, sessione straordinaria con un solo appello. Per facilitare la vita agli studenti lo stesso esame può essere dato al massimo due volte all’anno e in febbraio se ne possono dare solo due. Una passeggiata! Per fortuna alcuni (pochi) prof ti vengono incontro con pre- e post-appelli, mossi da sincera pietà.

martedì 10 novembre 2009

La sede

La prima cosa con cui si scontra la non ancora matricola il giorno dell’esame di ammissione è la sede: Via Filzi 14, il vecchio Hotel Regina o ancor prima Hotel Balkan, com’era noto quando era ancora in mano alla minoranza slovena della città. Io ignoravo totalmente la storia di questo edificio (finché in un bar un amico me l’ha raccontata a grandi linee), sapevo solo che era un hotel e che sarebbe dovuto essere trasformato in sede universitaria circa 25 anni fa… il lieto evento è avvenuto solo nel 1996, quando le lezioni sono cominciate con un mese di ritardo per dare modo di terminare i lavori alla tanto agognata nuova sede. Chi si è immatricolato dal 1996 in poi non può capire perché la nuova sede fosse parte integrante della nostra vita e delle nostre speranze, non tanto per una vita migliore, ma almeno delle aule decenti.

Prima di allora eravamo spezzati in due tra la “vera” sede di Via D’Alviano 16 e Servola, o meglio Via dei Giardini (anche se ciò che circondava l’edificio non era propriamente un giardino ma più che altro “erba con dei rami secchi in mezzo”). In Via D’Alviano si svolgeva la vera vita: bastava entrare per incontrare qualcuno, tutto era concentrato lì, aule (anche se l’aula magna era addirittura chiusa a chiave, malgrado non ci fosse dentro nulla di più di alcune cabine di interpretazione), biblioteca, uffici professori (due stanzoni con due tavoli dovevano bastare per tutti, ma il Preside Chiavi in Mano Dodds aveva un’auletta tutta per sé, accanto ai bagni) e soprattutto le scale, teatro di ogni scambio sociale. La chicca di ogni lezione era però la possibilità di assistere in diretta (almeno acusticamente) a un intervento dei pompieri, nostri vicini di casa, e alle loro esercitazioni (di cui fino a qualche anno fa si trovava ancora qualche reperto in nastroteca, sottofondo di alcune registrazioni di esami di interpretazione).

E poi, appunto, Servola. Come scordare i pellegrinaggi sulla mitica 29 (per chi non lo sapesse i bus a TS sono femminili) per accorrere alle lezioni tenute nell’altra sede? Bisogna riconoscere che le segretarie tenevano conto delle nostre difficoltà di spostamento, per cui, quando era possibile, nell’orario delle lezioni veniva calcolata la mezz’ora necessaria a spostarsi da una parte all’altra.

Vicino a Via dei Giardini c’era per lo meno un panificio (che probabilmente non si è mai ripreso dalla perdita dei clienti abituali dopo il trasferimento della facoltà in centro nel 1996) dove poter comprare un misero pranzo, per tutti coloro che non erano dotati della faccia tosta sufficiente ad andare a pranzare alla mensa della ferriera. Spesso però ci si organizzava e a turno si portava insalata di riso o simili. Vicino a Via D’Alviano c’era il nulla, a parte un misero bar che pochissimi frequentavano.

I lati positivi della sede di Servola finiscono lì, se escludiamo la possibilità che in caso di elezioni non potessero esserci tenute le lezioni in quanto sede elettorale. Le aule… squallidine. I bagni una volta si sono rotti e un cartello pregava gli studenti di non utilizzarli; peccato che ci fosse gente (come la sottoscritta) che aveva lezione dalle 8.15 alle 16. Il rimedio casalingo utilizzato erano cartoni e giornali sparsi un po’ ovunque per assorbire le perdite d’acqua (speriamo si trattasse solo d’acqua, non abbiamo mai indagato). A pian terreno più di una volta sono stati avvistati topi, lo stesso vale per il retro del “giardino”. Dobbiamo ammettere che era sempre un piacevole diversivo – se proprio non si aveva nulla da fare – ascoltare le lunghissime telefonate personali delle bidelle: per noi matricole un ottimo corso accelerato di triestino.

Poi, finalmente, nel 1996 il cambiamento radicale: una sede in centro città, dotata di bar (e vi assicuro che i primi tempi il bar era bello, organizzato, il cibo buono, abbondante e a buon prezzo. Gira voce che l’ex proprietario abbia lasciato un passivo notevole, ma a noi utenti che ci frega?), di ascensore (in cui più volte qualcuno è rimasto bloccato e che spesso è rimasto fuori uso per giorni, se non settimane, ma c’era!), di un’aula magna che si rispetti, di bagni in numero sufficiente (quando ci sono state delle perdite si è ritornati a utilizzare cartoni e giornali, noi “vecchi” ci siamo sentiti come a casa). Forse però i lavori erano stati completati un po’ troppo in fretta: a chi rimaneva in mano una manopola di un calorifero, a chi una porta intera.

giovedì 5 novembre 2009

Una razza élitaria

Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate

Ebbene sì, tutti alla SSLMIT amano dimostrare la propria cultura (o saccenza?) facendo sfoggio di citazioni colte. Quante volte abbiamo ripetuto questa frase per i corridoi, per le scale, in ascensore, prima di un esame, di un continuous assessment, di un delicato incontro con un prof? E spesso lo pensavamo davvero, perché una delle affermazioni più comuni all’interno di quel mondo parallelo che è la SSLMIT è: qui è difficile entrare, ma è ancora più difficile uscire. L’ho appena detto, alla popolazione della Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori piace far sfoggio di sé, della propria cultura – vera o presunta – e della propria intelligenza, per cui è sempre necessario sottolineare di fronte a esterni che:

1. c’è un esame d’ammissione DIFFICILISSIMO (in genere si sottolineano anche le percentuali di ammessi per calcare la mano sul nostro essere un’élite)

2. si studia moltissimo e bisogna frequentare le lezioni, altrimenti non si passano gli esami

3. il numero di ore di lezione settimanale è spropositato rispetto a una facoltà “normale” (un fondo di verità c’è, o per lo meno c’era quando frequentavo io. Sono arrivata ad avere 12 ore di lezione in un giorno; considerando che le ore effettive in cui è aperta la sede sono 12, ma le ore in cui si fa lezione sono al massimo 11, ci si chiede come può essere possibile. Ma il mitico quarto d’ora accademico permette questo e altro! Ne parleremo ancora più avanti)

4. abbiamo più esami di una facoltà normale (ai miei tempi per due lingue – cioè il minimo sindacale – si trattava di 41 esami in quattro anni, più i finali. Con tutti i cambi di ordinamento universitario non sono più al corrente della vita "vera" della SSLMIT)

5. si sanno più lingue della media italiana – grande scoperta, non per nulla è una scuola di lingue moderne!

6. la Nostra cultura è più generale (“dobbiamo sapere capire e tradurre di tutto”)

7. siamo internazionali (e vai a far sfoggio di parenti, amici, ragazzi e soggiorni all’estero)

Insomma: siamo più belli, più bravi, più intelligenti, ogni scusa è buona per tirarsela un po’, un po’ tanto, un po’ troppo, in barba all’italiano che vuole che “un po’” significhi “poco”.

Direi che dopo questa premessa è ovvio che lo studente della SSLMIT meriti la considerazione e l’attenzione che si presta in genere a un animale raro, e perché no?
Basta poco per renderlo felice, adora l’ammirazione spudorata. Come non ricordare quel mio compagno di corso che non perdeva occasione di portare a conoscenza di tutti (interessati e, più spesso, non) i suoi trascorsi scolastici? Lamberti (lezione di linguistica al primo anno) fa una citazione in latino, che non tutti capiscono (c’è anche chi non sa nemmeno come sia fatto il latino) e qualcuno si lamenta, al che il nostro amato collega se ne esce con un “ma come… è facile, io avevo 8 in latino”. Ben per te, che altro si può rispondere? Ma a noi che ce frega?? Ma non si tratta certo di un episodio isolato. Quante volte dei quasi perfetti sconosciuti ti fermano per i corridoi per sapere “quanto hai preso” a quell’esame, oppure (ecco come nascono le famose leggende metropolitane) per chiederti “ma sei tu quello che ha preso XX all’esame tal dei tali?”. Ciò non fa che dimostrare che la SSLMIT sia un covo di pettegolezzi (ma a seconda del peso dei pettegolezzi in questione si può anche parlare di nido di vipere), ma lo sapevamo già E poi il pettegolezzo è un’arte e credo che meriti un capitolo a sé.

Ecco in grandi linee la popolazione della scuola.

Nei prossimi post cercherò di prendere per mano un’immaginaria matricola e di accompagnarla non solo per i corridoi, ma anche attraverso i vari anni, esami e ostacoli. Che altro dire? La frase che si sente più spesso nel corso degli anni universitari: in bocca al lupo!

Benvenuti alla SSLMIT!

Un'introduzione è d'obbligo.
Per chi non la conosce, la SSLMIT è la famigerata
Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori
dell'Università di Trieste.

Nel corso di questo blog impareremo a conoscerla, la facoltà, la sede, i professori, gli studenti, la città. Insomma, non poniamo limiti alla creatività dell'autrice e di chiunque voglia contribuire a questo blog.

E ora... che l'avventura abbia inizio! Buona lettura!