martedì 10 novembre 2009

La sede

La prima cosa con cui si scontra la non ancora matricola il giorno dell’esame di ammissione è la sede: Via Filzi 14, il vecchio Hotel Regina o ancor prima Hotel Balkan, com’era noto quando era ancora in mano alla minoranza slovena della città. Io ignoravo totalmente la storia di questo edificio (finché in un bar un amico me l’ha raccontata a grandi linee), sapevo solo che era un hotel e che sarebbe dovuto essere trasformato in sede universitaria circa 25 anni fa… il lieto evento è avvenuto solo nel 1996, quando le lezioni sono cominciate con un mese di ritardo per dare modo di terminare i lavori alla tanto agognata nuova sede. Chi si è immatricolato dal 1996 in poi non può capire perché la nuova sede fosse parte integrante della nostra vita e delle nostre speranze, non tanto per una vita migliore, ma almeno delle aule decenti.

Prima di allora eravamo spezzati in due tra la “vera” sede di Via D’Alviano 16 e Servola, o meglio Via dei Giardini (anche se ciò che circondava l’edificio non era propriamente un giardino ma più che altro “erba con dei rami secchi in mezzo”). In Via D’Alviano si svolgeva la vera vita: bastava entrare per incontrare qualcuno, tutto era concentrato lì, aule (anche se l’aula magna era addirittura chiusa a chiave, malgrado non ci fosse dentro nulla di più di alcune cabine di interpretazione), biblioteca, uffici professori (due stanzoni con due tavoli dovevano bastare per tutti, ma il Preside Chiavi in Mano Dodds aveva un’auletta tutta per sé, accanto ai bagni) e soprattutto le scale, teatro di ogni scambio sociale. La chicca di ogni lezione era però la possibilità di assistere in diretta (almeno acusticamente) a un intervento dei pompieri, nostri vicini di casa, e alle loro esercitazioni (di cui fino a qualche anno fa si trovava ancora qualche reperto in nastroteca, sottofondo di alcune registrazioni di esami di interpretazione).

E poi, appunto, Servola. Come scordare i pellegrinaggi sulla mitica 29 (per chi non lo sapesse i bus a TS sono femminili) per accorrere alle lezioni tenute nell’altra sede? Bisogna riconoscere che le segretarie tenevano conto delle nostre difficoltà di spostamento, per cui, quando era possibile, nell’orario delle lezioni veniva calcolata la mezz’ora necessaria a spostarsi da una parte all’altra.

Vicino a Via dei Giardini c’era per lo meno un panificio (che probabilmente non si è mai ripreso dalla perdita dei clienti abituali dopo il trasferimento della facoltà in centro nel 1996) dove poter comprare un misero pranzo, per tutti coloro che non erano dotati della faccia tosta sufficiente ad andare a pranzare alla mensa della ferriera. Spesso però ci si organizzava e a turno si portava insalata di riso o simili. Vicino a Via D’Alviano c’era il nulla, a parte un misero bar che pochissimi frequentavano.

I lati positivi della sede di Servola finiscono lì, se escludiamo la possibilità che in caso di elezioni non potessero esserci tenute le lezioni in quanto sede elettorale. Le aule… squallidine. I bagni una volta si sono rotti e un cartello pregava gli studenti di non utilizzarli; peccato che ci fosse gente (come la sottoscritta) che aveva lezione dalle 8.15 alle 16. Il rimedio casalingo utilizzato erano cartoni e giornali sparsi un po’ ovunque per assorbire le perdite d’acqua (speriamo si trattasse solo d’acqua, non abbiamo mai indagato). A pian terreno più di una volta sono stati avvistati topi, lo stesso vale per il retro del “giardino”. Dobbiamo ammettere che era sempre un piacevole diversivo – se proprio non si aveva nulla da fare – ascoltare le lunghissime telefonate personali delle bidelle: per noi matricole un ottimo corso accelerato di triestino.

Poi, finalmente, nel 1996 il cambiamento radicale: una sede in centro città, dotata di bar (e vi assicuro che i primi tempi il bar era bello, organizzato, il cibo buono, abbondante e a buon prezzo. Gira voce che l’ex proprietario abbia lasciato un passivo notevole, ma a noi utenti che ci frega?), di ascensore (in cui più volte qualcuno è rimasto bloccato e che spesso è rimasto fuori uso per giorni, se non settimane, ma c’era!), di un’aula magna che si rispetti, di bagni in numero sufficiente (quando ci sono state delle perdite si è ritornati a utilizzare cartoni e giornali, noi “vecchi” ci siamo sentiti come a casa). Forse però i lavori erano stati completati un po’ troppo in fretta: a chi rimaneva in mano una manopola di un calorifero, a chi una porta intera.

3 commenti:

  1. Cos'era successo alla sede di via Caprin, precedente a quella di Servola (in linea d'aria neanche eccessivamente distante da via D'Alviano ma con l'autobus richiedeva percorsi assurdi con la 29 prima e, se ben ricordo, la 10 poi)? Forse era stata chiusa perché pericolante? Non mi sarei stupita se anche lì ci fossero stati topi in abbondanza!

    Invece sui bagni di via D'Alviano, quelli al piano terra, non si era mai capito perché fossero solo un paio per le donne e molti più per gli uomini, quando ben si sa quali fossero le proporzioni degli studenti...

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  2. In via D'Alviano per un periodo nei pomeriggi invernali saltava la corrente. Un'insegnante di francese prima lingua, di cui non ricordo il nome, prontamente estraeva una torcia elettrica dalla tasca e continuava la lezione, con il resto della classe al buio.

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  3. Via Caprin non l'ho conosciuta... non ne avevo nemmeno sentito parlare, a dir la verità. Qualcuno sa niente??

    Intraprendente la prof di francese :-) non democratica, ma intraprendente!!

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