martedì 25 maggio 2010

Indovina chi

Indovina chi ha detto...
(se volete mandare le risposte in privato per email, il mio indirizzo è ex.sslmit@gmail.com)

1. Dopo aver elencato a un esame di cultura tutti i modi di dire "prostituta" in un'altra lingua, il commento è: Signorina, se mi dice anche come si dice andare a battere, le do la lode

2. Negli ultimi dieci anni non ho avuto che rapporti omosessuali - ascoltata nei corridoi della SSLMIT

3. Mi dica, mi dica... che importanza ha per Böll l'uccello?

4. Con espressione stupita: Ma non avete mai comprato una mucca??? (questa è difficile)

5. Studente: Il verbo dilettarsi andrebbe bene?
   Prof: Vantarsi, ottimo, volevo dirlo io!
   In effetti...

6. Schleicher sale e scende come una meteora.

7. Studente: Linguaggio orale?
   Prof: Lingua dei giornali?
   Una visita dall'ottorino no???

8. Dopo 35 min dall’inizio della lezione: Ma voi siete del primo anno?

9. Le 20.000 leghe sotto i mari... o erano 80?

10. Era svizzero, di madrelingua francese, dunque parlava il tedesco senza difficoltà.

11. Prof: Dove ha trovato questa espressione?
     Studente: Sul Sansoni, sul Langenscheidt non c’era.
     Prof: Ah, sul Langenscheidt.

12. I maschietti adulti. (Gli uomini, per i profani)

13. Prof rivolgendosi a due studenti Erasmus, lui tedesco e lei russa: Voialtri che siete alemanni.

lunedì 12 aprile 2010

Il tempo libero

È risaputo che scuola interpreti non ha poi molti studenti, l’esame d’ammissione riduce necessariamente il numero di iscritti. E allora perché ovunque vai a Trieste incontri sempre qualcuno di scuola? Ma non solo in città, ho incontrato gente che conoscevo dall’università perfino in una frazione di Rimini! Per quanto riguarda la prima domanda c’è una spiegazione matematica: la maggior parte degli studenti delle altre facoltà è del triveneto, per cui il weekend va a casa, mentre noi, stoici, restiamo a Trieste e dato che la città è piccola ci si ritrova sempre. Oppure è semplice sf...ortuna. O ancora, i posti che si frequentano sono sempre gli stessi.

Ma cosa fa lo studente della SSLMIT nel tempo libero? Chi non va a casa per il fine settimana va ad alimentare il popolo frequentatore di pub della città, oppure – dato che gli studenti sono sempre squattrinati – organizza feste a casa propria (a turno), più di una casa si è trasformata in questo modo in una sorte di “comune”. Da bravi risparmiatori gli SSLMITiani vanno al cinema quasi solo di martedì, dato che si paga di meno. Sono in genere informatissimi in merito a inaugurazioni di mostre o avvenimenti culturali, se è previsto un banchetto gratuito per i partecipanti. Insomma, si sanno arrangiare.
I locali da frequentare ai miei tempi erano sempre gli stessi (e quasi tutti chiudevano la domenica, per cui o si andava al Tor Cucherna oppure si stava a casa), più che di cambiamenti o rinnovamenti dei locali si può parlare di cambiamenti di mode: a Trieste quando un locale è in, ci vanno tutti. D’inverno pub e poche discoteche, d’estate Piazza Unità, Molo Audace (dove a volte vengono anche organizzate feste con birra e musica artigianale – chitarre e simili) e Porto Vecchio, con capatine al Pinguino per i balli latino americani. Oppure al Cantera, discoteca all’aperto nota ai più, ma ci vuole la macchina o qualche amico motorizzato.

D’estate c’è poi un’istituzione, sconosciuta a chi non è della zona: l’osmiza. Si potrebbe tradurre con “osteria”, ma è molto di più e allo stesso tempo molto di meno. In tedesco si direbbe Strausswirtschaft o Besenwirtschaft. Avete voglia di pane, salame, arrosti, formaggi della zona, il tutto annaffiato da un bel bicchiere di terrano? Allora prendete la macchina, andate in Carso e cercate una frasca appesa a un incrocio, seguite le indicazioni, parcheggiate, sedetevi e per pochi euro potrete mangiare e bere a volontà! Anche in inverno si trovano osmize aperte (la tradizione vuole che aprano solo otto giorni all’anno, in realtà rimangono aperte più a lungo, ma quasi mai più di due settimane), dovete solo avere un po’ di pazienza e di fortuna per trovarle!
In estate è anche d’obbligo la tintarella, anche se si è spesso in preda a un dubbio: meglio presentarsi a un esame sicuri e abbronzati, o pallidi e malaticci per dimostrare quanto si è studiato? Allora si ruba qualche ora di sole sulla terrazza del sesto piano, al Molo Audace e infine a Barcola, con il libro in borsa, nella vana speranza di riuscire a studiare qualcosa.
Qui è d’obbligo soffermarsi sulla popolazione “barcolana”. Barcola non è solo una denominazione geografica, è un’istituzione. La passeggiata che porta a Miramare è suddivisa in varie zone, rigorosamente legate a specifiche fasce di età. La prima zona, pineta compresa, si suddivide tra chi arriva con la 6 e non ha voglia di camminare molto, a chi vuole fare picnic, giocare a carte e seguire le lezioni di aerobica gratis, il tutto all’ombra della pineta. Ci sono poi le famiglie con bambini nell’unica zona – fine pineta – dove ci sono due surrogati di spiaggia. Poi i topolini, costruzioni che ricordano le orecchie di Mickey Mouse: alcuni solo per ragazzini, altri – ma solo sopra, non vicino al mare – per gente un po’ più in là con gli anni. È anche l’unica zona in cui c’è servizio di bagnini malgrado non sia a pagamento. Segue poi la zona “California” e “Marinella” (rispettivamente dal nome di un bar e di un ristorante sulla riva), frequentata da ragazzi delle superiori. E infine il bivio, l’ultima zona balneabile non a pagamento prima di Miramare, anch’essa un’istituzione, tanto che quando si è profilata all’orizzonte la possibilità di renderla “spiaggia” a pagamento c’è stata quasi una rivolta cittadina. La popolazione del bivio segue ritmi precisi: fino all’una circa, a parte poche eccezioni, ci sono persone sopra la cinquantina, utilissime per venire a conoscenza delle varie attività cittadine. Poi il cambio della guardia, arrivano tutti i fighetti della città, perfino gente che mangia la mela in piedi per meglio mettere in mostra i bicipiti.
Ci sono altri luoghi dove fare il bagno e prendere il sole, ma a chi è sprovvisto di macchina non si offrono molte alternative oltre al cemento di Barcola, dove si è stipati come sardine. In città è degno di nota anche il Pedocin, bagno dei tempi andati, dove uomini e donne devono ancora occupare aree separate.

Cosa sarebbe poi una giornata estiva senza gelato? Anche qui va detto che la gelateria preferita dalla popolazione triestina è anche pericolosamente vicina alla SSLMIT: Zampolli di Via Ghega, altrimenti noto come Zampega (l’omonimo in Cavana è noto come Zampana e quello in Viale come Zampale), famoso per il suo variegato alla nutella. La sua fama gli permette anche di avere i prezzi più alti della città, senza che ci sia mai un calo nell’afflusso. Guadagnano talmente tanto che si possono permettere di rimanere chiusi per la maggior parte dell’inverno.

giovedì 1 aprile 2010

Amore e dintorni

Anche in questo campo la popolazione SSLMITiana risulta sui generis, e non solo per i problemi già esposti di identità sessuale e relative inclinazioni. Le ragazze della SSLMIT hanno un qualcosa che le distingue dalla popolazione universitaria media: un’alta percentuale ha storie con uomini più vecchi, sposati o meno. Perché? Non sono una psicologa e non mi interessa andare a fondo alla questione. Semplicemente sulla base di osservazioni casuali del comportamento delle SSLMITiane siamo giunti a questa conclusione: la percentuale di ragazze con storie più o meno ufficiali con uomini più vecchi sembra maggiore rispetto alle altre facoltà.

A volte la cosa nasce e si sviluppa all’interno delle mura del vecchio Hotel Regina tra studentesse e i pochi esponenti di sesso maschile (ed eterosessuali) tra i prof, anche se bisogna ammettere che in molti casi si tratta solo di dicerie e pettegolezzi, che, come ho già detto altrove, a scuola abbondano. Del resto, in un ambiente a maggioranza femminile è naturale che nascano pettegolezzi (le donne sono o non sono più portate per le lingue e per le chiacchiere?), se poi hanno un fondo di verità è più facile che non muoiano sul nascere, ma vengano ingranditi e pubblicizzati.

In alcuni casi invece le storie non sono solo dicerie, ma vengono ufficializzate (alcuni esponenti del corpo docente sono sposati – o lo sono stati – con ex studentesse), anche se la maggior parte delle volte vengono tenute segrete, con scarsi risultati, dato che ne sto parlando.

Per ovvi motivi non posso elencare né nomi, né situazioni troppo esplicite. A conferma del carattere internazionale della popolazione di Via Filzi bisogna dire che questa non è razzista (ogni continente è buono: Europa, America, Asia, Africa e Oceania, andiamo al di là dei confini nazionali e linguistici, com’è giusto che sia in una facoltà di lingue) né classista (dall’operaio al professore, dal cameriere al ginecologo). Forse in questo ha preso spunto da un prof di cui si è sempre detto che non ha pregiudizi nei confronti delle studentesse: di qualunque colore, lui se le fa tutte (pare anche che abbia convissuto per mesi con un uomo, il che confermerebbe la sua apertura mentale).

Le chiacchiere si diffondono allegramente ed è facile venire a conoscenza di dettagli più o meno privati della vita presente e passata dei prof. C’è sempre chi conosce qualcuno che “sa”. Ed ecco quindi una storia d’amore in passato tra due docenti di inglese, ora entrambi sposati (con altri). C’è sempre stata una notevole simpatia da parte di una prof di francese per uno di inglese, malgrado lui abbia famiglia. È nato poi un amore tra esperti di linguistica. Ci sono state molte altre storie più o meno segrete che è bene rimangano tali.

A volte, per caso, si viene addirittura a conoscenza di dettagli intimi, di parole particolari (addirittura vezzeggiativi quali “Piggy”) utilizzate in momenti di intimità da alcuni prof. E qui non sono complici i pettegoli, ma solo le pareti troppo sottili tra appartamenti adiacenti.

domenica 28 febbraio 2010

L'interpretese

Per l’esame di italiano in genere impariamo che esiste una certa varietà di registri linguistici, di idioletti, di lingue settoriali e di lingue speciali. Nessuno però parla mai di un fenomeno particolare, originale e tipico della SSLMIT: l’interpretese.
Studiando interpretazione si sviluppa un linguaggio che non può essere definito settoriale, ma piuttosto “professionale”, nel senso che appartiene a una precisa professione, quella dell’interprete (o forse quella del would-be interpreter). Ci sono varie sfaccettature: l’intonazione è la prima. Si distingue una persona che sta facendo esercizio di interpretazione a distanza di svariati metri: avrà una cadenza innaturale, la maggior parte delle frasi rimarrà in sospeso (non si può mai sapere se non devi aggiungere ancora qualcosa, per cui è sempre meglio lasciare la frase “aperta”), creando un effetto cantilenante e spesso fastidioso per chi ascolta. Non voglio dire che tutti parlano così, ma è un fenomeno piuttosto frequente (e io non ne sono certo esente). Poi c’è il lessico: nella continua smania di parlare bene, sappiamo alla perfezione quale verbo accompagna quale sostantivo, per cui anche in una banalissima conversazione con gente estranea diremo “porre una domanda”, perché il verbo “fare” è troppo comune e poi “non suona bene”.
Ricordiamo correzioni di interpretazioni che suonavano più o meno così: “Ma signorina, non mi dica ‘la soluzione adatta’, mi dica ‘appropriata’”. Allora è ovvio che diventiamo tutti un po’ paranoici, che cerchiamo sempre la parola migliore, la più appropriata appunto. Ma forse quando andiamo a comprare pane e latte potremmo anche ricordarci che stiamo comunicando con dei comuni mortali che ci capiranno anche se diciamo “andare a mangiare” e non “recarsi a colazione”.
Ognuno di noi poi si affeziona a certe parole, i cosiddetti jolly che mettiamo ovunque nelle nostre interpretazioni, vuoi perché sono parole passepartout, vuoi perché siamo convinti di fare colpo con un determinato vocabolo (salvo poi usarlo a sproposito), vuoi perché la parola ci piace e basta. Un fenomeno molto interessante: il jolly non è mai di una persona sola, ma viene lasciato in eredità da chi ha già passato gli esami ai compagni di sventura.
Oltre ai jolly personali ci sono le preferenze dei professori: anche se “refugees” è tradotto da tutti i giornali con “rifugiati”, ai nostri prof non piace perché è un calco, si dice “profughi”. “Environmental protection” non è la “protezione”, ma la “tutela ambientale”. Nessun problema, basta solo ricordarsi che a volte prof diversi preferiscono traduzioni diverse per la stessa parola, in fondo l’interprete deve essere flessibile e avere una buona memoria, no? Questo dovrebbe entrare a far parte del bagaglio di conoscenze immagazzinate nella memoria a lungo termine. Ma i traduttori non sono affatto più fortunati: ci sono professori che correggono le versioni date per buone da altri prof e ti dicono che se l’autore tedesco ha messo una virgola proprio lì, allora la devi mettere anche tu (senza tenere in considerazione che le regole di punteggiatura tedesca sono molto diverse da quelle italiane). E allora si parla di “casa pittata di fresco” e non “imbiancata”, di “verdaiolo” e non di “fruttivendolo”, perché i termini da noi proposti non sono coevi.

sabato 30 gennaio 2010

Il PC: questo sconosciuto

Premessa: i miei ricordi risalgono alla seconda metà degli anni 90, sono sicura che adesso l’ignoranza informatica non sia più altrettanto diffusa. Anche se continuo a pensare che i traduttori e gli interpreti non siano dei geni informatici, bensì – per buona parte – persone che usano il computer perché devono, ma se potessero farne a meno ne sarebbero ben felici. Ci sono naturalmente delle eccezioni, ma seguire le peripezie informatiche di molti traduttori è spesso esilarante... e ti fa anche capire quando siamo spesso impotenti di fronte alla tecnologia.
Quindi, nota dolente della SSLMIT 10-15 anni fa: i computer, per vari motivi. Prima di tutto dovremmo essere felici di avere a disposizione ben tre sale PC, in Via D’Alviano c’erano forse tre PC. Ma – direte voi – quanto sarebbe bello se funzionassero tutti e sempre... Di sventure legate ai computer ce ne sono state molte.
Una veloce carrellata: la stampante, quando ne hai urgente bisogno, non funziona perché (nell’ordine): c’è un non meglio specificato problema di rete che verrà risolto al più presto (in genere due giorni dopo il termine di consegna di tesine o lavori di altro tipo); manca il toner (non si è mai capito perché si aspetti che finisca per ordinare quello nuovo); tutto pare funzionare, ma il tuo PC è l’unico della sala che non stampa.
Ancora: nel periodo precedente la consegna delle tesi in genere c’è qualche problema generale (alla rete dell’università di Trieste, non solo della scuola, che fortuna!), non si riesce nemmeno ad accedere a Windows perché le password non vengono riconosciute (quando succede a metà mattina c’è qualche fortunato che può usare il PC, a patto di non disconnettersi fino a sera, altrimenti viene rifiutato come tutti gli altri), e quando si riesce, sorpresa! Non funziona internet.
In altri periodi ci sono morie di PC: siamo giunti ad avere 3 PC funzionanti su 10. Il tecnico, interpellato, ha risposto che si erano rotti i dischi fissi, ma non sapeva il perché. Bene.
Sono capitati anche strani casi di PC sentimentali: uno funzionava perfettamente con gli utenti abituali, quando questi hanno abbandonato il PC perché avevano consegnato la tesi, lui si è sentito tradito e pezzo a pezzo ha smesso di funzionare: prima Explorer, poi pezzi di programmi specifici, poi Office e infine Windows. È successo davvero, nella sala laureandi, dove la mattina prima delle nove si scatena la lotta: c’è chi arriva alle 8.30 per mettersi in fila e poi prega il mitico bidello – promosso bibliotecario per strani e incomprensibili motivi, forse per la sua indiscutibile competenza e correttezza nei confronti della popolazione femminile – di aprire la biblioteca un po’ prima per guadagnare un quarto d’ora. Ma gli studenti sono poi disciplinati: ognuno al proprio PC.
Non possiamo però imputare tutto al caso, bisogna ammettere che la nostra scuola non brilla di menti dotate di conoscenze informatiche. Se il computer che state usando sembra stampare, ma dalla stampante non esce nulla, aspettate prima di inveire contro l’uno o l’altra, probabilmente qualcuno ha collegato il PC alla stampante di un’altra sala e si è dimenticato di ripristinare le impostazioni iniziali, oppure l’ha fatto senza rendersene conto. Succede allora che lo stesso documento venga stampato in duplice, triplice copia altrove, prosciugando il credito di fogli del malcapitato, facendo però la fortuna di qualche studente di interpretazione che ricicla i fogli abbandonati come carta da cons.
Se la stampante non vuole saperne di funzionare, può essere che qualcuno abbia preso l’icona della stampante e l’abbia spostata nel cestino, è successo.
C’è chi mi ha chiesto, dopo aver spedito una mail, se era possibile recuperare il messaggio e cancellarlo, perché si era pentito di aver scritto certe cose. Hai mai provato a recuperare una lettera dopo averla imbucata?
O ancora: dopo aver scritto alcune pagine di traduzione utilizzando il Blocco Note (ignorando bellamente le comodità di Word) uno sventurato ha chiuso il programma e poi mi ha chiesto dove era stato salvato il file. Non sapevo come dirgli che il computer fa solo quello che tu gli dici di fare (a parte Word che ha una propria personalità e proprie preferenze, per cui fa sempre il contrario di ciò che vuoi) e che quindi, se non aveva salvato il lavoro, era tutto perso. Ha deciso di andare a casa a batterlo a macchina: eravamo nel 2001.
Una domanda che mi sono spesso posta in riferimento alle immagini utilizzate come sfondo del desktop: perché in una scuola a prevalenza femminile capita così spesso che ci siano foto di bellissime modelle seminude sui vari PC?
Poi ci si chiede anche perché alcune lingue sono privilegiate – anche nei PC – rispetto ad altre lingue a volte considerate “minori”. Perché è necessario imparare a configurare explorer se si vuole navigare in siti cinesi? Perché bisogna quasi corrompere il tecnico per riuscire a stampare dei siti in cinese, con tutta la fatica che ha già comportato il download delle estensioni linguistiche da internet? E perché per stampare una tesi che contiene anche caratteri cinesi si deve prima di tutto possedere un computer – dato che i programmi di videoscrittura in cinese non sono stati comprati e quindi non si può installare nulla sui PC della scuola, nemmeno la versione demo scaricabile gratuitamente da internet – e poi occorre comprare una stampante? A questa serie di domande si può rispondere con un’ulteriore domanda: se il cinese non vi è simpatico – e lo dimostrate in vari modi, non ultimo la considerazione nei confronti di chi vorrebbe utilizzare un computer per cercare materiale – perché in primis avete introdotto il corso? Forse è sufficiente ricordare che infatti il corso è scomparso, esiste solo la specializzazione nel secondo biennio del nuovissimo ordinamento.

lunedì 18 gennaio 2010

Soprusi

Si sa, lo studente è un piccolo e indifeso animaletto su cui spesso si sfogano le frustrazioni di chi ha il coltello dalla parte del manico. E anche se non fosse così, è questo il modo in cui lo percepiamo noi. E di esempi ce ne sono a bizzeffe.
Forse penserete che sto utilizzando questa occasione per vendicarmi di ciò che ha subito. Non me la sento di smentire del tutto questa ipotesi, ma sarò democratica e lascerò spazio anche ai soprusi subiti da amici e conoscenti, o almeno a quelli di cui sono a conoscenza. E comunque se ho deciso di scrivere, un motivo ci sarà pure, no? E non è di certo solo quello di far passare qualche momento piacevole a chi legge, dicono che la scrittura abbia una funzione catartica, sto mettendo alla prova questa affermazione, se alla fine mi sentirò più sollevata, allora questo blog avrà ottenuto il suo scopo principale.
Il modo più semplice per strutturare questo capitolo sarebbe seguire la classica suddivisione in lingue, ma non ho avuto accesso a informazioni accurate su tutti i corsi e i relativi prof – se qualcuno volesse rendermi partecipe di fatti che meritano di essere resi pubblici, mi informi, sono sempre aperta a suggerimenti.
Mi limiterò comunque a parlare dei soprusi di mia conoscenza, che si sono concentrati nel secondo biennio, per cui credo sia opportuno cominciare con i prof di interpretazione.
La prima persona che viene in mente è Snelling, anche se quello che mi accingo a raccontare non può propriamente essere definito un sopruso, è semplicemente una sua buona abitudine non condivisa dai suoi studenti: perché è necessario cominciare le lezioni alla mattina alle 8 quando con il quarto d’ora accademico si potrebbe aspettare senza problemi fino alle 8 e mezza? Generazioni di studenti si interrogano su questo punto, ma il prof non si scompone e continua a portare avanti la sua crociata pro puntualità. E se arrivi tardi... beh, te lo fa pesare E NON POCO!
Ma non finisce qui. Come dimenticare le innumerevoli lezioni con penosi risultati in cabina, spesso sottolineati da commenti ironici o sarcastici di alcuni prof, che arrivano addirittura (per farti sentire più a tuo agio) a chiederti come hai fatto ad arrivare al terzo anno con quel penoso livello della lingua di turno? Oppure prof che ignorano la tua presenza, neanche fossi invisibile. A volte – è vero – è piacevole, evita figuracce e ulteriori insulti, ma alla lunga ti chiedi se davvero fai così schifo quando cerchi di interpretare. O ancora commenti del tipo: “Secondo Lei questa sarebbe un’interpretazione?”. Notare bene: ti uccidono, ma ti danno del Lei, sono educati.
E poi l’incubo per tutti gli studenti di francese: arrivare a lezione alle 8 e mezza di mattina AVENDO GIÀ LETTO IL GIORNALE, perché un interprete deve essere sempre aggiornato (mai sentito parlare di quanto è bello stare a letto un quarto d’ora in più la mattina presto?). In teoria oltre alle ore di lezione (con il vecchissimo ordinamento arrivavamo anche a più di 40 alla settimana), agli esercizi e allo studio, avremmo dovuto leggere: un quotidiano italiano al giorno, due riviste settimanali (no, non Cosmopolitan, Max o simili, si parla di riviste serie) più una rivista e qualche quotidiano alla settimana in ognuna delle lingue di studio. Oltre, ovviamente, a guardare il telegiornale tutte le sere. E chi siamo, Mandrake?
Se le lezioni sono una nota dolente, pensate allora (oppure ricordatevi) a cosa possono essere gli esami. Da professori che ti consigliano di darti all’ippica a prof che ti ringraziano per “la Sua interpretazione che ci ha fatto molto ridere” (sempre con la forma di cortesia, naturalmente), ti chiedono se stai facendo qualcosa per ostacolare il tuo apprendimento della lingua in questione, ti dicono che chiudendo tutti gli occhi possibili hanno deciso di darti 18 (e tu dentro di te fai salti di gioia) e poi aggiungono, nel consegnarti il testo d’esame, “prenda questo aborto e non lo mostri in giro”.
Insomma, abbiamo un bel repertorio, compreso un trattamento che già anni fa i prof si erano detti tutti d’accordo di eliminare (ma perseverano): a metà della sim ti aprono la porta della cabina e ti fanno accomodare, oppure dopo qualche frase dall’inizio ti dicono “Grazie, basta così”, come se ascoltarti per un massimo di 8 minuti rubasse loro tempo prezioso. C’è anche chi – per dimostrare il suo disappunto per ciò che stai dicendo – sbuffa ad alta voce (a un metro e mezzo da te), si toglie le cuffie scotendo la testa (e si sa che i vetri delle cabine sono trasparenti, per cui tu – già agitato e nervoso – ti disperi) oppure segna alla lavagna tutti gli ehm o le false partenze che fai (e ovviamente tu in cabina non sai cosa sta facendo, ma sei ipnotizzato e non riesci a distogliere lo sguardo). Oppure al momento del voto – un’occasione collettiva in cui tutti i partecipanti all’esame partecipano contemporaneamente – c’è chi ti dice: Ma Signor XY, di solito lei fa molto meglio di ZZ, questa volta invece è successo il contrario, come mai? Ah, comunque siete bocciati entrambi. GRAZIE!
Ci sono anche prof che colgono l’occasione dell’esame andato male per prendersi una piccola rivincita nei confronti di altre lingue, che ovviamente tu hai studiato a discapito della loro. Non viene loro in mente che forse l’altra lingua è stata insegnata meglio o con più simpatia. E c’è ancora chi si chiede perché alcune lezioni sono rifuggite come la peste dagli studenti.
Ma non c’è solo interpretazione. Come dimenticare – e chi ha frequentato Via D’Alviano non lo scorda di sicuro – le lezioni in cui si predicava che tutte le guerre del mondo girano solo ed esclusivamente attorno al petrolio? Può essere vero, ma cosa c’entra con l’affermazione “La bora ha cicli di 30 anni, per 30 diminuisce, poi risale. Ha raggiunto il minimo storico e per il periodo in cui sarete qui voi non potrà che peggiorare”? Interessante, ma irrilevante. E ancora le pittoresche descrizioni di soldati feriti, senza gambe e braccia in una guerra in cui il sangue scorreva a fiumi? E la dispensa composta da pagine in cui le frasi cominciavano ma non sempre finivano? A un esame una ragazza ha copiato parola per parola la dispensa (la parte relativa alla domanda, ovviamente) e le è stato abbassato il voto per il “pessimo italiano”, mah!
La frase “Signorina, Lei potrebbe anche cambiare facoltà” potrebbe sembrare appartenere al ramo di interpretazione, ma è stata pronunciata da una lettrice, simpatica, vero?
Non sono solo i prof a passare alla storia per i vari tipi di sopruso, abbiamo anche alcuni interessanti esempi tra il personale non docente. Come passare sotto silenzio la mitica bidella, che pur di farci un dispetto al terzo piano non solo non consegnava a nessuno le chiavi della sala PC, ma arrivava in ritardo e apriva prima tutte le aule e solo alla fine la tanto attesa sala PC, davanti alla quale già si stava formando la fila.
E ancora la simpatia di chi ti deve vendere i fogli per la stampante, tassativamente entro le 10.30. Tu entri, vedi la persona al telefono, non vuoi disturbare, esci perché mancano ancora 10 minuti, riprovi qualche minuto dopo, è ancora al telefono, attendi ancora, poi finalmente lei si accorge della tua presenza, ma, ahimè, sono già le 10.33, niente da fare, nemmeno se sei laureando, devi stampare la tesi, è venerdì e quindi devi aspettare fino a lunedì mattina per comprarli… un orario è un orario.